Riflessioni libere di un SEO sull’approccio all’ottimizzazione
É finita l’era dell’ottimizzazione selvaggia. Da un pezzo. Lo zoo di Google continua la sua battaglia furiosa sfornando simpatici animaletti che rotolano, zompettano e volano alla ricerca dei furbetti che negli anni hanno tentato di forzare la natura delle ricerche. Eppure capita ancora, nonostante le scoraggianti promesse di Mountain View, di imbattersi in piccole e medie realtà online che popolano con successo SERP sempre più lunatiche. Risultati che ci spiazzano, non ci fanno dormire la notte (in senso buono) e rendono frustrante il lavoro di molti SEO. Cosa fare? Rileggersi per l’ennesima volta manuali, risorse online, riprendere in mano case histories di successo, magari dello stesso settore o della stessa nicchia per tentare di spulciare qualsiasi cosa possa essere funzionale a spiegare l’arcano? Forse. Potrebbe essere un punto di partenza, ma non di arrivo.
Credo invece sia molto più interessante e utile prendere coscienza che possa esistere un approccio differente. Oggi ottimizzare un sito, dal più piccolo al più complesso significa guardarlo con occhi diversi. Bisogna pensarlo come un nucleo che racchiude enormi potenzialità, quasi fosse una bomba pronta ad esplodere, ma al contempo come un insieme di entità che si completano, che si devono muovere insieme nella stessa direzione.
Alcuni siti possono piacere di più ai motori e spesso non è detto che sia una questione di corretta ottimizzazione. Perché si continuano a vedere pagine che si posizionano pur avendo per esempio title tag esplicitamente lunghi e mostruosi a tal punto da far rabbrividire non solo i SEO, ma anche chiunque abbia un po’ di familiarità con i contenuti e la scrittura sul web? Molti potrebbero rispondere: «è tutta una questione di popolarità, di anzianità, di trust del dominio, etc».
In parte può essere anche vero, ma più mi interrogo, più lavoro sull’on-page e più ho la strana sensazione che la ricerca dell’esasperazione nell’ottimizzazione, che potrebbe tradursi in estrema capillarizzazione dei processi di fine tuning, porti in realtà risultati poco tangibili o quantomeno non così rilevanti da giustificare gli sforzi fatti. E spesso con il risultato che i clienti si pongano strane domande, iniziando ad entrare in un loop che ha ben poco di produttivo.
Dobbiamo pensare all’ottimizzazione in un’ottica di insieme, di miglioramento complessivo della struttura e dei contenuti, in un’ottica di usabilità, di potenziamento delle lacune e delle tecnicità che ostacolano non solo banalmente l’indicizzazione ma la corretta e naturale interpretazione delle pagine del sito. L’approccio scientifico sulla ricerca delle migliori keywords da associare a un business deve essere solamente un punto di partenza, ma il lavoro vero deve mirare a riorganizzare complessivamente ogni logica interna e creare un dialogo tra i contenuti, come se tutto il sito fosse un unico storyboard che mette a fuoco in maniera esauriente un argomento.
Se il lavoro di ottimizzazione viene guidato da questa logica i frutti potranno tardare, ma sono convinto che una volta maturi, consolideranno gli obiettivi di marketing del sito.
Tematizzare una pagina per una singola parola chiave, creare un’infinità di contenuti in ogni variante per andare a coprire qualsiasi ricerca in quel settore è un approccio che ha funzionato e purtroppo continua a funzionare, ma nel breve periodo. Porterà invece risultati precari nel lungo: il sito sarà sempre oggetto di revisioni, di ri-ottimizzazioni multiple, che al posto di migliorare il focus del sito, finiranno per confondere i motori.
Oggi si parla di Semantic Search: per completezza e semplicità utilizziamo la definizione di Wikipedia e cerchiamo di capirne qualcosa in più.
La Semantic Search punta a migliorare l’accuratezza delle ricerche, attraverso la comprensione dell’intento dell’utente e il significato contestuale dei termini che appaiono nell’ambito della ricerca, sia sul Web che all’interno di un sistema chiuso, al fine di generare risultati più rilevanti.
Lungi dal voler approfondire la semantica applicata alle ricerche, quello che si percepisce è l’esigenza di abbracciare un approccio in grado di muoversi verso le intenzioni degli utenti. Intenzioni di ricerca che devono essere contestualizzate, che hanno bisogno di essere collocate in un background in grado di far capire ai motori le motivazioni alla base delle query degli utenti, e dove queste hanno intenzione di spingersi.
Se riusciamo a sposare una visione meno “keyword centrica”, riducendo per esempio la pretesa che una pagina debba “rankare” necessariamente su una keyword per poter dire di aver centrato l’obiettivo e a non pensare alla SEO come una scienza esatta fatta di nessi di causa ed effetto, forse siamo sulla strada giusta. Non si tratta quindi di abbandonare le keywords del tutto perché funzionano ancora, ma di utilizzarle come base per evolvere il sito in qualcosa dalle potenzialità nettamente superiori. É una strada fumosa, fatta di segnali che vengono a stento a galla, di tracce da seguire e di trappole da evitare. Ma è sicuramente la strada verso cui si stanno muovendo e si muoveranno nei prossimi anni tutti i motori di ricerca e che porterà a un evoluzione della SEO, per come la conosciamo.
F. Muciaccia